mercoledì 23 dicembre 2015

Gli animali hanno un'anima di Jean Prieur - Un libro interessante


Allora la Chiesa « avrà il suo compimento [...] nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l'uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo ».  
[Conc. EcumVat. II, Lumen gentium, 48 (cfr. Ef. 1,10): Col. 1, 20; "Pt. 3, 10-13).


 "Se per anima intendiamo la parte incorporea dell'essere, sede della sensibilità, del giudizio e della volontà,  fonte dei pensieri, dei desideri e delle passioni, laddove avvengono tutte le trasformazioni della coscienza, riguardo alla coscienza, riguardo ai sentimenti ed all'intelligenza, ebbene sì, gli animali hanno un'anima.

   Se per anima intendiamo il coraggio, i sentimenti nobili, gli istinti generosi di un essere, considerato dal punto di vista morale, ebbene sì, gli animali hanno un'anima.
   Se per anima intendiamo un'entità immateriale, ma pur tuttavia sottile e sostanziale che si separa dal corpo nel momento della morte; se per anima si intende una copia conforme dell'essere, che riproduce fedelmente ciò che egli fu nella sua vita e che gli consente di continuare a vivere in un altro mondo, ebbene sì, gli animali hanno un'anima.
   Aggiungerò che l'animale è un'anima: animal est anima; stranamente il vocabolario accorda a questo concetto ciò che la religione e il senso comune gli rifiutano... "

Jean Prieur (pag. 13 di "Gli animali hanno un'anima")
 

Gli animali hanno un'anima di Jean Pieur
La prefazione è di monsignor Mario Canciani "il prete che non scaccia i cani dalla chiesa".
Il libro è stato pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1986.

Diesel, il cane eroe di Parigi (13 novembre 2015, clicca qui), medaglia al valor militare

Jean Prieur, nato in Francia il 10 novembre 1914, scrittore, storico, ricercatore, drammaturgo

"Per tutti i popoli dell'antichità, dagli Egizi ai Greci, dai Persiani agli Indiani, fino all'antica Roma, il fatto che gli animali abbiano un'anima, era un principio scontato e acquisito.
Gli stessi termini anima e animale hanno, etimologicamente, una radice comune; e il filosofo Anassagora affermava: L'anima dell'uomo e quella degli animali, provenienti entrambe dall'Anima del Mondo, hanno ripreso la natura della loro sorgente, cioè sono di natura divina", mentre per Aristotele gli animali erano dotati di un'anima sensitiva.
Ma, indipendentemente dalle implicazioni filosofiche, Jean Prieur dimostra. soprattutto attraverso i numerosissimi esempi e traendola dai loro comportamenti, l'intelligenza e la sensibilità di questi esseri che sono appena un gradino al di sotto della specie umana e che comunque appartengono al miracolo unico della creazione divina.
Il dossier che l'autore ci presenta non lascia più al alcun dubbio: sì. gli animali hanno un'anima".
Tratto dalla II e III pagina di copertina

Monsignor Mario Canciani (scomparso nel 2007) con uno dei tanti gatti che vivevano con lui in canonica.

Il gatto Simon , eroe di guerra (clicca qui)

Links:

Michele (1995 - 2015)
Buon Natale a tutti, umani e pelosetti, a quelli viventi e a quelli che ci aspettano in Cielo!

martedì 24 novembre 2015

Vita di Maometto di Muhammad Ibn Garir Al Tabari - Maometto uomo di pace?

Muhammad Ibn Gabir Al Tabari
Muhammad Ibn Gabir Al Tabari è stato uno storico e teologo (clicca qui) persiano di religione musulmana, nato nel'839 e morto nel 923 D.C. 
Tabari è autore di "Vita di Maometto", disponibile anche nell'edizione economica di Rizzoli

Vita di Maometto





Chi vuole può leggersi sia la biografia di Tabari, sia quella del Profeta e trarne da solo le sue conclusioni.
In questi giorni si sente dire che l'Islam è una religione di pace, che Allah è misericordioso, che i musulmani "Veri" non c'entrano con quelli "falsi" dell'Isis e che in sostanza un musulmano "Vero" non farebbe male a una mosca.
Questo pensiero, forte e chiaro è stato anche scritto, a lettere cubitali, su uno dei cartelli della manifestazione contro il terrorismo islamico che si è svolta sabato 21 novembre 2015 a Piazza San Babila a Milano.


Nel mio piccolo,  faccio un semplice ragionamento: lasciando perdere Allah e il Corano,  mi sento di fare qualche riflessione   sul Profeta di questa religione,  Maometto, 
Dato che sono cristiana, mi ispiro per questa mia riflessione a  quel brano del Vangelo di Matteo che dice:
"Un albero buono non dà frutti cattivi e un albero cattivo non dà frutti buoni. La qualità di un albero la si conosce dai suoi frutti: difatti non si raccolgono fichi dalle spine e non si vendemmia uva da un cespuglio selvatico. L'uomo buono prende il bene dal prezioso tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo invece prende il male dal cattivo tesoro del suo cuore. Ciascuno infatti con la sua bocca esprime quel che ha nel cuore. (Matteo, 7, 16b-20; 12, 33-35)

Ora, mi lasciano  perplessa (a dir poco) alcune azioni compiute dal Profeta durante la sua  vita, azioni che sono i suoi frutti e che forse mi parlano anche dell'Albero da cui quei frutti provengono.
Di seguito, qualcuno di questi frutti, presi dalla biografia del Profeta, scritta dal teologo e storico Tabari:
  1. Capitolo 47 - Qui si racconta che Maometto in persona diede ordine a ad Alì e a Zubayr, figlio di al-Awwam di prendere le spade e di sgozzare uno dopo l'altro 800 ebrei della tribù Banu Qurayzab, dopo aver insultato Ali e Zubaytr con l'epiteto di "scimmie e maiali" , perché non avevano osservato la volontà di Dio (di ammazzare gli ebrei), ribadendo, forte e chiaro, "Non sono io, ma Dio che vi insulta". Dopo che tutti i beni degli ebrei furono confiscati e trasportati a Medina, il Profeta ordinò di scavare un fossato, si sedette sull'orlo e assistette allo sgozzamento di 800 ebrei, da parte dei suoi seguaci e al loro successivo infossamento. Neanche i giovani maschi furono risparmiati, solo donne e bambini salvarono la pelle, ma non la libertà perché finirono schiavi. 
Diciamo che Maometto ha dato il buon esempio e, non si contano gli sgozzamenti e le decapitazioni in nome e per conto di Allah. Pensiamo agli 800 Martiri di Otranto per finire alle Torri Gemelle e oltre.

2. Maometto aveva pensato anche alla punizione per i cosiddetti "ipocriti" che sarebbero poi i "moderati" di oggi. Sue le parole di incitamento contro i musulmani moderati: "Andate e distruggete quella moschea. Rompete tutto quanto è in pietra e bruciate quanto vi è di legno".
A me sembra, a questo punto, che i musulmani "Veri", quelli fedeli al Profeta siano proprio i musulmani dell'Isis e non i " moderati", che, a mio parere, rischiano di fare una gran brutta fine pure loro, presto o tardi, se non si danno una mossa. Quale mossa possano fare proprio non mi viene in mente, ma tutta la questione mi sembra, per ora, in una posizione di stallo. 
Del resto, come fanno i musulmani a criticare, eventualmente, Maometto al quale l'Arcangelo Gabriele avrebbe dettato il Corano sul quale si basa tutta la loro fede? E' ovvio che sconfessare gli atti di violenza compiuti dal Profeta significherebbe sconfessare il Corano stesso e quindi Allah il suo autore.
Un bel rebus.



giovedì 22 ottobre 2015

Dal niente a Dio: André Frossard, Dio esiste io l'ho incontrato (1969)

"Al di là del mondo che ci circonda e di cui facciamo parte,
esiste un'altra realtà, infinitamente più concreta di
quella a cui generalmente facciamo credito e questa realtà 
è quella definitiva, dinanzi alla quale non ci facciamo più domande"



Questo è uno di quei libri che quando incominci a leggerli, non riesci più a smettere, fino a quando non li hai finiti, costi quel che costi.




A pagina 30 di questa vecchia edizione (SEI, Torino, ottobre 1969), André racconta cosa significasse per lui, fin dall'infanzia, essere atei perfetti:

" Eravamo degli atei perfetti, di quelli che non si pongono più interrogativi sul loro ateismo. Gli ultimi militanti anticlericali che si scagliavano ancora contro la religione nelle riunioni pubbliche ci parevano patetici e un po' ridicoli, quali lo sarebbero degli storici che s'impegnassero a confutare la favola di Cappuccetto rosso. Il loro zelo non faceva altro che prolungare inutilmente un dibattito chiuso ormai da lungo tempo dalla ragione. L'ateo perfetto non era infatti più colui che negava l'esistenza di Dio, ma colui per il quale non si poneva neppur più il problema dell'esistenza di Dio."
A pagina 131 racconta come percepisce se stesso: "Una persona importante e molto intelligente, cui raccontavo la mia storia, non poté fare a meno di manifestare il suo stupore dicendo, una volta terminata la mia storia: "Sì. le voglio bene, ma perché proprio a lei? ". La risposta a questa domanda è una sola: che non c'è risposta.  Sono stato un banalissimo ragazzo con qualche  non encomiabile debolezza in più, senza altri segni particolari che un piede ferito dallo scoppio di una bomba ed una spiccata inclinazione all'astrazione intellettuale, morale e, per quanto possibile, fisica. Conformemente alla Scrittura, la grazia non ha predilezioni particolari: penso d'aver chiaramente dimostrato che, rivolgendosi a me, si rivolgeva ad uno qualunque. Ciò che mi è successo può succedere a tutti, al migliore come al peggiore. a colui che non sa ed a  chi crede di sapere; a chi mi legge, domani, forse questa sera stessa; un qualche giorno, certamente".



LINK:
André Frossard - Wikipedia
André Frossard - Santi, beati, testimoni
André Frossard - Oratorio San Filippo Neri, Biella
Suore dell'adorazione riparatrice (pag. 140)
Sœurs de l'Adoration Réparatrice - 39, rue Gay-Lussac - 75005 PARIS
Dio esiste io l'ho incontrato - Wikipedia
André Frossard e Vittorio Messori
Dio Esiste io l'ho incontrato di mons. Angelo Comastri
Le conversioni di Alphonse Marie Ratisbonne e di André Frossard

In questa cappella in Rue Gay-Lussac, l'8 luglio 1935, alle ore 17,10, in pochi minuti, avvenne la conversione di André Frossard.
A pagina 140, il giornalista-scrittore parla delle "Suore dell'adorazione riparatrice": "...L'interno non è più stimolante dell'esterno: la stiva banale, in sostanza di un vascello di pietra le cui linee grigio scuro s'arrestano e riprendono prima di aver avuto la fortuna di realizzare l'incontro cistercense. La navata è nettamente divisa in tre parti... La seconda parte è occupata da un gruppo di religiose, con la testa coperta di un velo nero, che formano come ordinate file d'uccellini annidiati nelle nicchie di legno verniciato. Verrò a sapere più tardi che si tratta delle suore dell'"Adorazione riparatrice", una congregazione fondata dopo la guerra del 1870 in pia risposta a certi eccessi della Comune
Relativamente poco numerose - si vedrà oltre che il particolare ha la sua importanza - esse appartengono ad uno di quegli ordini contemplativi che hanno scelto la clausura per renderci liberi, l'oscurità perché abbiamo la luce; uno di quegli ordini che la morale materialistica - la mia ancora per un minuto o due - giudica che non servano a niente. Esse recitano una parte di preghiera sottovoce che risponde a se stessa da un lato all'altro della navata per risolversi ad intervalli regolari nell'esclamazione: gloria patri et filio, et spiritui sancto, prima di ricominciare lo scorrere alternato della sua pacifica navigazione".

Bibliografia:
Inchiesta sul cristianesimo di Vittorio Messori

"Tutta la Verità si trova nella Chiesa Cattolica. La Verità è qualcuno, è Gesù Cristo. Che ci posso fare se il Cattolicesimo è vero, se questa Verità è Cristo che vuole essere incontrato? Siamo noi che abbiamo perso la passione di convincere, di testimoniare, di convertire".
André Frossard

venerdì 16 ottobre 2015

Cardinale Robert Sarah: il gender più pericoloso dei tagliagole dell'Isis


Condivido l'articolo apparso il 15 ottobre 2015, sul quotidiano Libero  a firma di Caterina Maniaci


La teoria gender provoca danni che eguagliano, e forse superano, quelle causate dai fanatici tagliagole dell'Isis. 
Lo sostiene il cardinale Robert Sarah, che guida il dicastero per il culto Divino e la Disciplina dei sacramenti. Questa considerazione fa gridare allo scandalo, ancora una volta, durante i lavori di questo travagliato Sinodo. L'opinione del porporato è nota e non  da oggi, ma evidentemente il fatto che il cardinale abbia usato sempre durante l'assemblea sinodale, espressioni forti ha fatto circolare, soprattutto tra la stampa di sinistra, l'idea che in Vaticano questo rappresenti "un problema". Mentre si cerca di superare il clamore della ormai famosa "Lettera dei Tredici", dagli stessi circoli minori che stanno proseguendo i lavori sinodali emerge però una forte richiesta di "maggiore trasparenza e chiarezza", a cominciare dal testo-base, l'Instrumentum laboris.
Il cardinale Sarah, nei giorni scorsi, ha dunque spiegato che "l'ideologia del gender" e l'organizzazione dello Stato islamico-Isis hanno in comune "la stessa origine demoniaca". Perché quello che il nazismo  e il comunismo sono stati nel Ventesimo secolo, sono oggi le ideologie occidentali sulla omosessualità e l'aborto e il fanatismo islamico" secondo Sarah. Che, tra l'altro, è uno dei firmatari della lettera inviata al Papa il 5 ottobre. Ed è indicato come un "conservatore", molto apprezzato da Benedetto XVI, il cui ultimo libro, O Dio o niente, che per inciso esprime con  grande chiarezza tutte le sue posizioni su temi come il matrimonio, la difesa della vita, l'aggressione delle multinazionali "del pensiero unico", è diventato un best-seller in tutto il mondo.
Il ragionamento del porporato è chiaro e parte da lontano. La idolatria della libertà occidentale e il fondamentalismo islamico sono "come due bestie apocalittiche", che hanno ridisegnato la storia contemporanea, tanto che ora "ci troviamo in mezzo tra la teoria del gender e l'Isis". Da queste due radicalizzazioni nascono le peggiori minacce alla famiglia: la sua disintegrazione soggettiva nell'Occidente secolarizzato attraverso il divorzio veloce e facile, l'aborto, le unioni omosessuali, l'eutanasia..." da un lato, ha detto Sarah. Dall'altro lato, ha proseguito, "la pseudo-famiglia ideologizzata dell'Islam, con la poligamia legittimata, la sottomissione femminile, la schiavitù, il matrimonio di bambini", ha detto ancora il porporato, citando Al Qaeda, l'Isis, Boko Haram. L'intervento è stato riportato dal sito inglese National Catholic Register e da quello di Aleteia. Per inciso, lo stesso papa Francesco, nel gennaio scorso, aveva paragonato la "colonizzazione" del gender
a quella della "Gioventù hitleriana". 
La richiesta di una sostanziale riscrittura della seconda parte dell'Instrumentum laboris  emerge dalle relazioni dei circoli minori anglofoni sinodali.
Come spiega il sito Acistampa, pur con istanze differenti, tutti sembrano d'accordo, però, nel segnalare che "mancano delle solide referenze alle Sacre Scritture; che manca una definizione di famiglia; che non viene considerata l'indissolubilità del matrimonio da un punto di vista positivo". Richieste che appaiono fin dall'inizio del rapporto del circolo "Angelicus A," il cui moderatore è il cardinal George Pell, universalmente indicato come l'ispiratore della lettera dei Tredici. "Nel passato", si legge nella relazione del circolo, che viene presentato sempre da Acistampa. "il Santo Padre spesso usa i testi approvati alla fine come una base per una Esortazione Apostolica abbiamo parlato di quanto questo approccio porti frutti. Tuttavia, riconosciamo le limitazioni di un documento che sarà approvato al termine del Sinodo. Sebbene ogni sforzo dovrebbe essere fatto per un linguaggio snello e attrattivo, una preoccupazione primaria è quella della chiarezza di ben fondate spiegazioni dell'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia".
Caterina Maniaci
LINK:
Cardinale Robert Sarah - Cathopedia
Osservatorio sul gender - La Nuova Bussola Quotidiana
Teoria del gender - Offesa alla verità
Dio o niente


BIBLIOGRAFIA


Titolo: Dio o niente

Autore: Robert Sarah

Casa Editrice: Cantagalli

mercoledì 14 ottobre 2015

Papa Benedetto XVI - Omelia del 7 maggio 2015, Messa d'insediamento sulla cattedra romana

Roma, basilica di San Giuseppe al Trionfale
San Giuseppe, protettore della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana
"...Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode..."

Papa Benedetto XVI

venerdì 25 settembre 2015

Dio o niente - Conversazione sulla fede - Cardinale Robert Sarah con Nicolas Diat

" Ho letto Dio o niente con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine..."
Papa emerito Benedetto XVI



Il papa emerito ha avuto parole di apprezzamento per questo libro del Cardinale Robert Sarah al quale ha scritto una lettera in merito. Tra le altre cose, Papa Benedetto dice: "Ho letto Dio o niente con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine. La sua testimonianza della Chiesa in Africa, della sua sofferenza durante il tempo del marxismo e di una vita spirituale dinamica, ha una grande importanza per la Chiesa, che è un po' spiritualmente stanca in occidente. Tutto ciò che Lei ha scritto per quanto riguarda la centralità di Dio, la celebrazione della liturgia, la vita morale dei cristiani è particolarmente rilevante e profondo. La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del gender mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica".

Dal cuore dell'Africa al centro della Cristianità: così potremmo riassumere lo straordinario percorso di vita del cardinale Robert Sarah. Ordinato prete nel 1969: consacrato vescovo nel 1979 - il vescovo più giovane del mondo - chiamato da Giovanni Paolo II nel 2001 a Roma come Segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli; nominato da Benedetto XVI Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum nel 2010 e infine nel 2014 chiamato da Francesco a presiedere il dicastero vaticano che si occupa della liturgia. Guardando il povero bambino di Ourous, figlio di contadini e attratto dalla vita dei missionari, nessuno poteva immaginare il piano di Dio e. leggendo questo libro, si potrebbe affermare che certo Dio sapeva quel che faceva.
(Tratto dalla seconda pagina di copertina)

Robert Sarah e Nicolas Diat (foto trattadalla terza pagina di copertina)


Nicolas Diat
Laureato in Scienze politiche, giornalista e scrittore, a lungo consulente per la comunicazione e la strategia di vari ministri francesi, è autore di un libro su Papa Benedetto XVI, L'homme qui ne voulait pas etre pape - histoire sècrete d'un règne (Albin Michel, 2014)
(tratto dalla seconda pagina di copertina)

Cantagalli Editore
Un editore molto coraggioso della città di Siena, la città che diede i natali a Santa Caterina, vergine e dottore della Chiesa che tanto operò per il ritorno del Papa a Roma dalla sede avignonese.
La casa editrice fu fondata nel 1925 (clicca qui).



Quarta di copertina del libro


giovedì 17 settembre 2015

Rémi Brague: da dodici secoli è impossibile dialogare con l'islam.


L'ultimo libro di Rémi Brague (clicca qui)





Riportiamo, di seguito, l'interessante articolo di Marco Respinti, tratto dal quotidiano Libero del 16 settembre 2015, pag. 25

"Il primo motivo per cui l'Occidente non riuscirà mai a parlare con l'islam è che manca una lingua comune. Una lingua culturale e intellettuale importante, per esempio la filosofia. Quando Benedetto XVI osò dirlo il 12 settembre 2006 a Ratisbona si aprì il cielo, ma la stessa cosa dice oggi uno degli intellettuali più raffinati e disincantati che abbiamo, Rémi Brague, classe 1947, professore emerito di Filosofia medioevale e araba all'Università di Parigi 1 Pantheon-Sorbona, dove dirige il centro di ricerca "Tradizione del pensiero classico", ha pubblicato libri decisivi. L'ultimo è un libro-intervista curato da Giulio Brotti, Dove va la storia? Dilemmi e speranze (La Scuola, pp. 140, euro 9,50).


Benedetto XVI e Rémi Brague il 12 settembre 2012
Dice Brague che la "teologia islamica si è costituita in polemica contro il cristianesimo". Per l'Islam il Corano è la rivelazione diretta di Dio e quindi su quella parola divina increata non si può né ragionare né dire alcunché; ci si può solo sottomettere. La teologia islamica è tutta qui: sottomissione incondizionata dell'uomo a Dio. Per la filosofia intesa come discorso razionale sulle cause prime ed ultime del reale, e quindi debordante nella teologia classica intesa come discorso razionale sul divino, non vi è alcun posto. 

Di che parliamo dunque con l'Islam?

E' vero, vi fu un tempo in cui un angoletto alla filosofia fu ritagliato anche nel mondo musulmano , ma fu un'altra singola rondine che non fece primavera. "La filosofia araba", infatti, che "assume una certa neutralità in materia di religione",  prese ad affermare "l'esistenza di un principio unico, ispirato alla concezione neoplatonica dell'Uno", ma "non è sopravvissuta alla modernità. 
Chi l'ha schiacciata è stata proprio la teologia coranica, quella che domina il vasto oceano dell'islam contemporaneo. Perché chi obietta "filosoficamente" ha le ore contate. 
Del resto, il grande protagonista di quella fugace stagione di una filosofia arabo-islamica autonoma fu al-Farabi (870-950), originario dell'odierno Turkestan. Tentò una sintesi fra aristotelismo e platonismo, e lo fece in quanto "era stato allievo di cristiani" e a sua volta (a riprova delle illuminanti pagine con cui Rodney Stark dimostra che tutto ciò che di buono c'è nel mondo arabo-islamico è dovuto alla sopravvivenza o all'arabizzazione di sostrati e di personaggi cristiani, ebraici e pagani) "ebbe come discepolo Yahyà ibn 'Adi (+974), filosofo e teologo della Chiesa siriaca giacobita.
Certo, qualcuno c'è che abbia sostenuto che il Corano sia solo un prodotto umano. Furono i mutaziliti, il cui prestigio fiorì a tal punto da divenire, per un periodo, la dottrina di Stato del califfato abbaside; ma, caduti progressivamente in disgrazia dopo il Secolo X, furono considerati  solo degli eretici. "I modernisti vorrebbero riportare in vita la soluzione mutazilita", riflette Brague. "Io auguro loro buona fortuna, ma non dimentichiamo che sono trascorsi dodici secoli da quando quella scuola è stata eliminata. L'islam contemporaneo è tanto lontano da essa quanto noi lo siamo da Carlo Magno, e non ci si sbarazza tanto facilmente di abitudini di pensiero così inveterate". Quale dialogo, insomma? Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti."
Marco Respinti


LINK:
Discorso di Ratisbona di Benedetto XVI
REMI BRAGUE: ILLUMINISMO, SANTITA' E VALORI CRISTIANI
La bianca torre di Echtelion, di Marco Respinti

venerdì 24 aprile 2015

25 aprile 2015: 70 anni di retorica, delitti, omissioni e falsità della Resistenza (articolo di Gianpaolo Pansa)

Condivido (di seguito) l'articolo di Gianpaolo Pansa apparso ieri su Libero.  La penso, più o meno, come lui su questo controverso argomento. Mia madre, nata nel 1917, mi ha sempre parlato, fin dai primi anni della mia infanzia, della terribile "guerra civile" fra italiani del '45, guerra sanguinosa tra fratelli.  La cosa peggiore che possa capitare, diceva lei. Mio padre, (nato nel 1900), pur essendo stato licenziato nel 1927 dalle Ferrovie dello Stato per aver partecipato a uno sciopero a Trieste e pur avendo chiesto, dall'Eritrea dove si trovava allora, di tornare in Italia a combattere contro i tedeschi, era d'accordo con lei. E' stata un'orribile guerra civile e l'unica cosa da fare, secondo il mio modesto parere, sarebbe quella di onorare la memoria di tutti i caduti indistintamente, senza celebrazioni ma con un lungo, lunghissimo minuto di silenzio. Non si festeggia lo spargimento di sangue fraterno, casomai si prega, per tutti, vittime e assassini, per qualsivoglia ideale abbiano sacrificato la vita.


"Gli anniversari dovrebbero essere aboliti. Soprattutto quando celebrano un evento politico  che si presta a una giostra di opinioni non condivise. Accade così per il settantesimo del 25 aprile 1945, la festa della Liberazione. Una cerimonia che suscita ancora contrasti, giudizi incattiviti e tanta retorica. A volte un mare di retorica, uno tsunami strapieno di bugie e di omissioni dettate dall'opportunismo politico.
Per rendersene conto basta sfogliare i quotidiani e i settimanali di questo fine aprile. E' da decenni che studio e scrivo della nostra guerra civile. Ma non avevo mai visto il serraglio di oggi. Una fiera dove tutto si confonde. Dove imperano le menzogne, le reticenze, le pagliacciate, le caricature. E' vero che siamo una nazione in declino e che ha perso la dignità di se stessa. Però il troppo è troppo. Per non essere soffocato dalla cianfrusaglia, adesso proverò a rammentare qualche verità impossibile da scordare.
La prima è che la guerra civile conclusa nel 1945, ma con molte code sanguinose sino al 1948, fu un conflitto fra due minoranze. Erano pochi i giovani che scelsero di fare i partigiani e i giovani che decisero di combattere l'ultima battaglia di Mussolini. Il "popolo in lotta" tanto vantato da Luigi Longo, leader delle "Garibaldi" non è mai esistito. A perdere furono i ragazzi di Salò, i figli dell'aquila repubblicana. Ma a vincere non furono quelli che avevano preso la strada opposta. L'Italia non venne liberata da loro.
Se il fascismo fu sconfitto lo dobbiamo ad altri giovani che non sapevano quasi nulla di un Paese che nel 1922 aveva obbedito al Duce e l'aveva seguito in una guerra sbagliata, combattuta su troppi fronti. La vittoria e la libertà ci vennero donate dalle migliaia di ragazzi americani, inglesi, francesi, canadesi, australiani, neozelandesi, persino indiani, caduti sul fronte italiano. E dai militari della Brigata Ebraica, che oggi una sinistra ottusa vorrebbe escludere dalla festa del 25 aprile.
Gli stranieri e gli italiani si trovarono alle prese con una guerra civile segnata da una ferocia senza limiti. Qualcuno ha scritto che la guerra civile è una malattia mentale che obbliga a combattere contro se stessi. E svela l'animo bestiale degli esseri umani. Tutti gli attori di quella tragedia potevano cadere in un abisso infernale. Molti lo hanno evitato. Molti no. Eccidi, torture, violenze indicibili non sono stati compiuti soltanto dai nazisti e dai fascisti. Anche i partigiani si sono rivelati diavoli in terra.
In un libro di memorie scritto da un comandante garibaldino e pubblicato dall'Istituto per la storia della Resistenza di Vercelli, ho trovato la descrizione di un delitto da film horror. Una banda comunista, stanziata in Valsesia, aveva catturato due ragazze fasciste, forse ausiliarie. E le giustiziò infilando nella loro vagina due bombe a mano, poi fatte esplodere.
La ferocia insita nell'animo umano era accentuata dalla faziosità ideologica. La grande maggioranza delle bande partigiane apparteneva alle Garibaldi, la struttura creata da Pci e comandata da Longo e da Pietro Secchia. E' una verità consolidata che tra le opzioni del partito di Palmiro Togliatti ci fosse anche quella della svolta rivoluzionaria. Dopo la Liberazione sarebbe iniziata un'altra guerra. Con l'obiettivo di fare dell'Italia l'Ungheria del Mediterraneo, un paese satellite dell'Unione sovietica.
I comunisti potevano essere più carogne dei fascisti e dei nazisti? No perché chi imbraccia un'arma per affermare un progetto totalitario, nero o rosso che sia, è sempre pronto a tutto. Ma esiste un fatto difficile da smentire: le stragi interne alla Resistenza, partigiani che uccidono altri partigiani, sono tutte opere di mandanti ed esecutori legati al Pci.
La strage più nota è quella di Porzûs, sul confine orientale, a 18 chilometri da Udine. Nel pomeriggio del 7 febbraio 1945, un centinaio di garibaldini assalgono il comando della Osoppo, una formazione di militari, cattolici, monarchici, uomini legati al Partito d'Azione e ragazzi apolitici. Quattro partigiani e una ragazza vengono soppressi subito. Altri sedici sono catturati e tutti, tranne due che passano con la Garibaldi, saranno ammazzati dall'8 al 14 febbraio. Un assassinio al rallentatore che diventa una forma di tortura. In totale, 19 vittime.
La strage ha un responsabile: Mario Toffanin detto "Giacca", 32 anni, già operaio nei cantieri navali di Monfalcone, un guerrigliero brutale e un comunista di marmo. Ha due idoli: Stalin e il maresciallo Tito. Considera la guerriglia spietata il primo passo della rivoluzione proletaria. Ma l'assalto e la strage gli erano stati suggeriti da un dirigente della federazione del Pci di Udine. Di lui si conosce il nome e l'estremismo da ultrà che gioca con le vite degli altri. E' quasi inutile rievocare le imprese di Franco Moranino, "Gemisto", il ras comunista del Biellese. Un sanguinario che arrivò ad uccidere i membri di una missione alleata. E poi fece sopprimere le mogli di due di loro, poiché sospettavano che i mariti non fossero mai giunti in Svizzera, come sosteneva "Gemisto". Il Pci di Togliatti difese sempre Moranino e lo portò per due volte a Montecitorio e una al Senato. Anche lui come "Giacca" morì nel suo letto. 

Tra le imprese criminali dei partigiani rossi è famoso il campo di concentramento di Bogli, una frazione di Ottone, in provincia di Piacenza, a mille metri di altezza sull'Appennino. Dipendeva dal comando della Sesta Zona ligure ed era stato affidato a un garibaldino che oggi definiremmo un serial killer. Tra l'estate e l'autunno del 1944 qui vennero torturati e uccisi molti prigionieri fascisti. Le donne venivano stuprate e poi ammazzate. Soltanto qualcuno sfuggì alla morte e dopo la fine della guerra raccontò i sadismi sofferti.
A volte erano dirigenti rossi di prima fila a decidere delitti eccellenti. Le vittime avevano comandato formazioni garibaldine, ma si rifiutavano di obbedire ai commissari politici comunisti. Di solito questi crimini venivano mascherati da eventi banali o da episodi di guerriglia. 
Uno di questi comandanti, Franco Anselmi, "Marco", il pioniere della Resistenza sull'Appennino tortonese, dopo una serie di traversie dovute ai contrasti con esponenti del Pci, fu costretto ad andarsene nell'Oltrepò pavese. Morì l'ultimo giorno di guerra, il 26 aprile 1945, a Casteggio per una raffica sparata non si sa mai da chi.
Negli anni Sessanta, andai a lavorare al Giorno, diretto da Italo Pietra che era stato il comandante partigiano dell'Oltrepò. Sapeva tutto del Pci combattente, della sua doppiezza, dei suoi misteri. Quando gli chiesi della fine di Anselmi, mi regalò un'occhiata ironica. E disse: "Vuoi un consiglio?" Non domandarti nulla. Anselmi è morto da vent'anni. Lasciamolo riposare in pace".
Un'altra fine carica di mistero fu quella di Aldo Gastaldi, "Bisagno", il numero uno dei partigiani in Liguria. Era stato uno dei primo a darsi alla macchia nell'ottobre 1943, a 22 anni. Cattolico, sembrava un ragazzo dell'oratorio con il mitragliatore a tracolla, coraggioso e altruista. Divenne il comandante della III Divisione Garibaldi Cichero, la più forte nella regione. Era sempre guardato a vista dalla rete dei commissari comunisti della sua zona.
Nel febbraio 1945, il Pci cercò di togliergli il comando della Cichero, ma non ci riuscì. Alla fine di marzo Bisagno chiese al comando generale del Corpo volontari della libertà di abolire la figura del commissario politico. E quando Genova venne liberata cercò di opporsi alle mattanze indscriminate dei fascisti. Non trascorse neppure un mese e il 21 maggio 1945 Bisagno morì in un incidente stradale dai tanti lati oscuri. In settembre avrebbe compiuto 24 anni. Ancora oggi a Genova molti ritengono che sia stato vittima di un delitto. Sulla sua fine esiste una sola certezza. Con lui spariva l'unico comandante partigiano in grado di fermare in Liguria un'insurrezione comunista diretta a conquistare il potere. 
Aldo Gastaldi "Bisagno" (1921-1945)
Scommetto mille euro che nessuno dei due verrà ricordato nelle cerimonie previste un po' dovunque. Al loro posto si farà un gran parlare delle Repubbliche partigiane. Erano territori conquistati per un tempo breve dai partigiani e presto perduti sotto l'offensiva dei tedeschi. Le più note sono quelle di Montefiorino, dell'Ossola e di Alba. 
Nel 1944, Montefiorino in provincia di Modena, contava novemila abitanti. Con i quattro comuni confinanti si arrivava a trentamila persone. L'area venne abbandonata dai tedeschi e i partigiani delle Garibaldi vi entrarono il 17 giugno. La repubblica durò sino al 31 luglio, appena 45 giorni. Fu un trionfo di bandiere rosse, con decine di scritte murali che inneggiavano a Stalin e all'Unione Sovietica. 
Vi dominava l'indisciplina più totale. Al vertice c'era il Commissariato politico, composto soltanto da comunisti. Il caos ebbe anche un lato oscuro: il carcere per i fascisti, le torture, le esecuzioni di militari repubblicani e di civili. Ma nessuno si preoccupava di difendere la repubblica. Infatti i tedeschi la riconquistarono con facilità. La Repubblica dell'Ossola nacque e morì nel giro di 33 giorni, fra il settembre e l'ottobre del 1944. Era una zona bianca, presidiata da partigiani autonomi o cattolici. E incontrò subito l'ostilità delle formazioni rosse. Cino Moscatelli, il più famoso dei comandanti comunisti, scrisse beffardo: ""A Domodossola c'è un sacco di brava gente appena arrivata dalla Svizzera che ora vuole creare per forza un governino pur di essere loro stessi dei ministrini". 
La repubblica di Alba venne descritta così dal grande Beppe Fenoglio, partigiano autonomo: "Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre 1944. Durata dell'esperimento: 23 giorni, conclusi da una fuga generale. Sentiamo ancora Fenoglio: "Fu la più selvaggia parata della storia moderna: soltanto di divise ce n'era per cento carnevali. Fece impressione quel partigiano semplice che passò rivestito dell'uniforme di gala di colonnello d'artiglieria, con intorno alla vita il cinturone rosso-nero dei pompieri...".
In realtà la guerra civile fu di sangue e di fuoco. con migliaia di morti da una parte e dall'altra. Dopo il 25 aprile ebbe inizio un'altra epoca altrettanto feroce.  L'ho descritta nel libro che mi rende più orgoglioso fra i tanti che ho pubblicato: Il Sangue dei Vinti. Stampato da un editore senza paura: la Sperling e Kupfer di Tiziano Barbieri. Un buon lavoro professionale.


Dal 2003 a oggi, nessuna smentita, nessuna querela, ventimila lettere di consenso, una diffusione record. Ma le tante sinistre andarono in tilt. E diedero fuori di matto.
Più lettori conquistavo, più venivo linciato sulla carta stampata, alla radio, in tivù. Mi piace ricordare l'accusa più ridicola: l'aver scritto quel libro per compiacere Silvio Berlusconi e ottenere dal Cavaliere la direzione del Corriere della Sera. Potrei mettere insieme un altro libro per raccontare quello che mi successe. Qui preferisco ricordare i più accaniti tra i miei detrattori: Giorgio Bocca, Sandro Curzi, Angelo d'Orsi, Sergio Luzzatto, Giovanni De Luna, Furio Colombo, qualche firma dell'Unità, varie eccellenze dell'Anpi, del Pci e di Rifondazione comunista. 
Tutti erano mossi dalle ragioni più diverse. Se ci ripenso sorrido. La meno grottesca riguarda l'ambiente legato al vecchio Pci. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la svolta di Achille Occhetto nel 1989, gli restava poco da mordere. Si sono aggrappati alla Resistenza. E hanno inventato uno slogan. Dice: la Resistenza è stata comunista, dunque chi offende il Pci offende la Resistenza. Oppure: chi offende la Resistenza offende il Pci e gli eredi delle Botteghe oscure.
Ecco un'altra delle menzogne spacciate ogni 25 aprile. Insieme alla bugia delle bugie, quella che dice: le grandi città dell'Italia del nord insorsero contro i tedeschi e li sconfissero anche nell'ultima battaglia. Non è vero. La Wehrmacht se ne andò da sola, tentando di arrivare in Germania. In casa nostra non ci fu nessuna Varsavia, la capitale polacca che si ribellò a Hitler tra l'agosto e il settembre del 1944. E divenne un cumulo di macerie. In Italia le uniche macerie furono quelle causate dai bombardamenti degli aerei alleati. 
Che cosa resta di tutto questo?
Di certo il rispetto per i caduti su entrambe le parti. Ma anche qualcos'altro. Quando viaggio in auto per l'Italia, rimango sempre colpito dalla solitaria immensità del paesaggio. Anche nel 2015 presenta grandi spazi vuoti, territori intatti, mai violati dal cemento. 
E' allora che ripenso ai pochi partigiani veri e ai figli dell'Aquila fascista. E mi domando se avrei avuto il loro stesso coraggio se fossi stato un giovane di vent'anni e non un bambino. Si gettavano alle spalle tutto, la famiglia, gli studi, l'amore di una ragazza, per entrare in un mondo alieno, feroce e sconosciuto. Erano formiche senza paura e pronte a morire. L'Italia di oggi merita ancora quei figli, rossi, neri, bianchi? Ritengo di no."
Giampaolo Pansa
Quotidiano Libero del 23 aprile 2015
pagg. 1-24-25


Milano, Cimitero di Musocco, Campo X, campo dell'Onore (clicca qui)