mercoledì 4 febbraio 2015

Post Concilio - Un articolo di Marco Invernizzi: Una Chiesa, due trionfalismi

Condivido l'articolo, a mio parere profondo, interessante e molto attuale, nonostante sia stato scritto nell'anno 2008. E' stato pubblicato sulla rivista Il Timone n° 70 di febbraio 2008. Ringraziamo il prof. Marco Invernizzi.

"Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo - e aveva pensato al barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa.
Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo. Ma l'umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa".(Benedetto XVI, Incontro con il clero delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, 24 luglio 2007).
Con queste parole, l'estate scorsa il Papa ha accennato al tema del trionfalismo, uno degli argomenti che ha maggiormente tormentato gli anni del post-concilio Vaticano II. Per trionfalismo s'intende una tendenza presente tra i cattolici, in Europa ma particolarmente in Italia, sede del Papato, ad assumere un atteggiamento arrogante, di superiorità di fronte al "mondo", alle appartenenze ideologiche dell'epoca. Tale supponenza sarebbe derivata - dicono i "novatori" - dal Medioevo e dal Concilio di Trento, quando esisteva una civiltà che poneva al centro di essa il cristianesimo, e da una ecclesiologia che attribuiva grande rilevanza alla visibilità della Chiesa, società perfetta, cioè non bisognosa di altre istituzioni per raggiungere il suo scopo. Essendo società religiose, ossia fondate sul principio di trascendenza, le civiltà premoderne attribuivano alla religione un ruolo centrale, assolutamente prioritario nella vita pubblica. La chiesa era il centro del villaggio perché la religione era al centro della cultura e la gente ci credeva, anche se poi il comportamento di molti lasciava a desiderare. Era il "trionfo" della religione, in particolare della fede cattolica e dunque della Chiesa che offriva la Rivelazione e la salvezza alla gente. Questo spiega la bellezza maestosa delle cattedrali, la ricchezza delle chiese barocche, la maestosità dei momenti pubblici della vita della Chiesa e non soltanto della liturgia, lo stile ieratico, in un certo senso distaccato, che le autorità ecclesiastiche assunsero di fronte a un popolo che vedeva in loro non soltanto i successori degli apostoli ma anche il vertice di una civiltà.

Una chiesa missionaria
Tutto ciò comportò degli abusi? Certamente, come in ogni epoca. Soprattutto quando, dopo la Riforma prima e poi in seguito alle rivoluzioni nazionaliste e liberali dell'Ottocento, gli uomini che guidavano la chiesa prima si lasciarono strumentalizzare dall'abbraccio "interessato" degli stati assoluti (nel Settecento) e poi dovettero difendere la stessa Chiesa dagli stati nazionali (nell'Ottocento); come sempre avviene nella storia, in questi due secoli la chiesa lottò e resistette al processo di strumentalizzazione e poi al tentativo di espulsione della religione dalla vita pubblica, spesso assumendo i difetti della cultura che combatteva.
Qui nasce l'accusa di trionfalismo, in una stagione che non fu esente da errori, esagerazioni e imprudenze, nella direzione del clericalismo, della chiusura ideologica, della pretesa di essere in grado di risolvere ogni problema.
Era la Chiesa di una società cristiana che la venerava, perché riconosceva in Lei la portatrice della grazia e della salvezza. Questa chiesa lottò dopo la fine della cristianità medioevale, per difendere se stessa e la civiltà che aveva originato. I difetti di quella stagione ecclesiale si possono individuare facilmente: la Chiesa di quell'epoca venne e viene accusata di essere ideologica e di aver privilegiato l'organizzazione a scapito della formazione dei singoli. Ma cosa avrebbero dovuto fare quegli uomini, impegnati in una lotta per la sopravvivenza contro nemici che non avevano esitato a portare sulla ghigliottina i testimoni della fede, a imprigionare due papi con Napoleone, a lasciare nel corso del XIX secolo sedi episcopali vacanti pur di non concedere il permesso d'ingresso a vescovi nominati dal Papa ma invisi ai governi, i quali avevano spogliato la Chiesa dei suoi beni, spesso più per odio ideologico che per interesse economico? E, dopo la seconda guerra mondiale, i dirigenti cattolici che verranno successivamente accusati di trionfalismo e di mobilitare le masse avrebbero forse dovuto invitare i milioni di membri dell'Azione Cattolica Italiana ad andarsene, come poi peraltro faranno in seguito alla "scelta religiosa", cioè al disimpegno nella costruzione di una società cristiana, che spesso nasconderà soltanto un vero e proprio impegno politico a sinistra, che produrrà la crisi nell'Aci degli anni Cinquanta e la fuoriuscita di decine di migliaia di militanti cattolici negli anni Sessanta verso formazioni della sinistra, anche terroristiche?
Non era questa la strada indicata dal Concilio Vaticano II, così come la presenta oggi Benedetto XVI. Si trattava di riformare senza rompere con il passato, di adeguare la presenza in un'epoca che stava cambiando, di superare una fase di stallo trasformando la chiesa di una società cristiana in una Chiesa missionaria, ma senza condannare il passato. Il Concilio Vaticano II chiese di rinunciare a questo stile - barocco, come lo chiama Benedetto XVI - perché era venuta meno la società cristiana che la Chiesa aveva difeso e tentato di ricostruire, mentre nell'epoca nuova si doveva tentare una nuova evangelizzazione che tenesse conto dei grandi mutamenti verificatisi.
Iniziava così una nuova stagione della storia della Chiesa e del mondo, con la fine dell'epoca delle ideologie e l'inizio del nichilismo. Oggi questi cambiamenti si comprendono meglio di quanto apparisse nel 1962-65, l'epoca del Vaticano II.

Un nuovo trionfalismo
Invece, dice sempre il Papa, nacque un'altra forma di trionfalismo, che dagli anni del post-Concilio affligge la Chiesa in nome della lotta contro il vecchio trionfalismo della Chiesa tridentina.
Un trionfalismo insidioso, perché fa leva su argomenti che toccano le persone più attente e sensibili al richiamo della radicalità del Vangelo e perché, come sempre è accaduto nella storia della Chiesa, non nega la verità, ma ne afferma soltanto una parte, dimenticando completamente il "resto della verità" e aggredendo con violenza dialettica e settaria chi osa mettere in discussione la sua posizione. Così si comportano gli ariani, i catari, i giansenisti, i modernisti, per ricordare soltanto le eresie più celebri. Tutti gli eretici pongono un problema reale, colgono una mancanza vera o sottolineano un'inadempienza effettiva dei cattolici. in una data situazione storica. Ma pretendono di essere la soluzione, accusando la Gerarchia della Chiesa di cecità, di ritardi, di incomprensione. Così nasce la chiesa solo dei poveri in luogo di un'opzione preferenziale che la Chiesa ha imparato da Cristo; così l'autonomia delle realtà temporali e la specifica vocazione del laico diventano laicismo e separazione; così l'amore per il mondo al quale proporre la salvezza di Cristo diventa la rinuncia alla missione apostolica; così il rispetto di ogni uomo, creatura divina e figlio dello stesso Padre divino, diventa l'inutilità dell'incarnazione; così la presenza di "semi" del Verbo nelle altre religioni diventa una uguaglianza che vanifica la Passione e rende inutile la Resurrezione.

Si potrebbe continuare. Ma preferisco invitare a pensare a come uscire da questa empasse, come propone il Papa. Se il primo trionfalismo esprimeva uno stile ecclesiale non più adeguato al mondo cambiato che la Chiesa aveva di fronte, questo nuovo trionfalismo paralizza l'energia apostolica dei cattolici, li rende  capaci soltanto di dubitare e di  demolire, anzi di autodemolire il corpo mistico del Signore. Così la Chiesa perde ogni capacità di attrazione, umanamente parlando, per quell'uomo privo di speranza e affamato di verità che incontra nel mondo di oggi. Così ci si dimentica il vero e unico trionfo a cui la Chiesa non può rinunciare e che consiste nella proposta della santità attraverso l'imitazione di Cristo, umile e crocifisso ma anche unico Salvatore, affidandosi al quale ogni persona raggiunge la pienezza della perfezione e quindi la felicità eterna.
Marco Invernizzi
Rivista "Il Timone" n° 70
Febbraio 2008, pagg. 58-59













Bibliografia

Titolo: La dottrina sociale della Chiesa

Autore: Marco Invernizzi

Editore: I quaderni del Timone


Descrizione
Un'introduzione che si preoccupa di esprimere in modo molto sintetico alcuni principi fondamentali della dottrina sociale, parte integrante della fede cattolica, come disse il beato Pontefice Giovanni XXIII. Oltre ad aiutare a sfatare alcuni luoghi comuni sul tema, il testo riporta anche cenni di storia della dottrina sociale, che non nasce con la Rerum novarum, come erroneamente si crede, ma nasce con la persona, creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta dal sacrificio di Cristo.








Titolo: Il movimento cattolico in Italia, dalla fondazione dell'Opera dei Congressi all'inizio della seconda guerra mondiale 

Autore: Marco Invernizzi

Editore: Mimep Docete
















Titolo: Chiesa, ecumenismo e politica

Autore: Joseph Ratzinger

Editore: Paoline


















Titolo: Luigi Gedda e il Movimento Cattolico in Italia

Autore: Marco Invernizzi

Editore: SUGAR&CO


















Titolo: Rivista mensile Il Timone n° 70, febbraio 2008

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